venerdì 17 febbraio 2017

Cultured butter e cultured buttermilk fatti in casa


Ma cosa cavolo è questo buttermilk che salta fuori ogni due per tre dalle ricette americane e inglesi? Se lo traduciamo letteralmente è logico pensare che sia l'equivalente del nostro latticello, cioè quel siero che rimane quando si fa il  burro. Solo che se usassimo questo liquido nelle ricette che richiedono il buttermilk, probabilmente non avremmo il risultato sperato, perché in realtà, oggi giorno, con il termine buttermilk si intende un particolare latte scremato addizionato di fermenti lattici che lo rendono molto più simile ad uno yogurt poco denso, piuttosto che al latticello derivante dalla trasformazione della panna in burro. Proprio la sua moderata acidità, lo rende particolarmente adatto ad essere impiegato nelle ricette che utilizzano il bicarbonato di sodio come agente lievitante: senza entrare troppo nel dettaglio, la reazione chimica provocata dall'unione dei due ingredienti, dona al prodotto finito particolare sofficità e leggerezza. 


Quindi come si chiama il latticello in inglese? Si chiama buttermilk, ovviamente, come altro dovrebbe chiamarsi secondo voi? Ma allora buttermilk è sia il latte fermentato che il latticello? E ma che confusione!! Vero, ma è presto spiegato il motivo. Fino alla fine del 1800 le abitazioni non erano dotate di frigoriferi o di qualsivoglia altro sistema di raffreddamento dei cibi. Il latte e la panna conservati a temperatura ambiente fermentavano in fretta, con il risultato che molto spesso il burro veniva prodotto con della panna già leggermente inacidita. Fino a quel momento, quindi, con il termine buttermilk si poteva intendere sia il latticello, acquoso e dolce, derivante dalla produzione di burro con panna freschissima, sia quel liquido più denso e leggermente acido derivante dalla lavorazione di panna già fermentata, sia, ancora, il latte fermentato naturalmente. Va detto che all'epoca pochi badavano all'equivoco, dato che in ogni caso, dolce o acido che fosse, il buttermilk veniva scartato o al limite utilizzato  nell'alimentazione degli animali da cortile o dei maiali. Solo le persone estremamente povere e gli schiavi usavano cibarsene.
Questo fino verso la metà del XIX secolo e precisamente nel 1846, quando la ditta Church & Co. cominciò a distribuire il bicarbonato di sodio con il nome di baking soda e a promuoverne l'utilizzo per la realizzazione di pani a lievitazione istantanea. Il nuovo prodotto era più affidabile e veloce del vecchio lievito, ma aveva bisogno della presenza di un acido per compiere la sua magia, quindi si raccomandava l'uso di sour milk ( latte acido ) o di buttermilk, come attivatore. Fu così che quello che fino ad allora era stato considerato un prodotto di scarto venne promosso al rango di ingrediente di cucina. 
In quegli stessi anni, l'America vedeva un sempre maggior flusso di immigranti provenienti da ogni parte del vecchio continente e pare verosimile che proprio  alcuni di loro, come gli Ebrei Ashkenaziti provenienti dall'Europa orientale, abbiano introdotto nel Paese l'abitudine ad assumere quotidianamente il buttermilk come bevanda rinfrescante. Non è da sottovalutare il fatto che la presenza e l'azione dei fermenti lattici lo rende più digeribile del latte e quindi adatto anche a chi soffre di intolleranza al lattosio. Perché anche i non immigrati superino la loro diffidenza, però, bisogna aspettare il 1901 e la pubblicazione di uno studio del biologo russo Elie Metchnikof, il quale sosteneva che la longevità delle popolazioni balcaniche fosse attribuibile proprio all'abitudine di consumare quotidianamente del latte acido. Di li'a poco, nel suo sanitario di Battle Creek, il medico olistico, nonché entusiasta sostenitore dei cereali da colazione, John Harvey Kellog iniziò a servire un latte artificialmente inacidito che andava sotto l'accattivante dicitura di Bulgarian Buttermilk.
Nel frattempo la refrigerazione domestica aveva fatto passi da gigante e di conseguenza era sempre più raro che il latte fermentasse naturalmente. Così le imprese del settore caseario, individuando una nicchia di mercato ancora scoperta, cominciarono a produrre latte inoculato di fermenti e a commercializzarlo intorno al 1920 con il nome di buttermilk. Questo latte scremato addizionato di fermenti lattici assomigliava molto a quello che si può acquistare ancora oggi in ogni supermercato, anche se a partire dagli anni '60 le vendite sono calate a favore del piú cremoso yogurt. Oggi spesso si chiama cultured buttermilk, per sottolineare che si sta acquistando non del latticello, ma del latte addizionato di fermenti.
E cosa è successo al latticello? Quello ormai rimane a disposizione solo di piccoli produttori o addirittura di produttori casalinghi. L'industria casearia preferisce disidratare il siero rimanente dopo la lavorazione della panna e venderlo all'industria di trasformazione alimentare come additivo. 
Da quando vivo in Olanda, il buttermilk, che qui si chiama karnemelk, ha smesso di essere quell'oscuro oggetto del desiderio culinario che era quando ancora abitavo in Italia. Qui è molto diffuso e venduto in ogni supermercato o negozio di alimentari. Però ormai un po' mi conoscete e sapete che se c'è una sola possibilità di produrre in casa un alimento, io la colgo e la preferisco al semplice acquisto del prodotto confezionato industrialmente. 
Così ho fatto le mie ricerche e ho scoperto che ancora oggi si può produrre un burro di panna fermentata. Se si ha la fortuna di trovare della panna cruda freschissima, si può molto semplicemente lasciarla a temperatura ambiente per 24 ore affinché inacidisca naturalmente, ma se, come è più probabile, ci si deve accontentare della panna pastorizzata che si trova al supermercato, meglio affidarsi ad un innesto di fermenti lattici. Io ho utilizzato del karnemelk che ho acquistato al mercato biologico insieme alla panna fresca, ma anche lo yogurt, purchè di ottima qualità e freschissimo, va bene a questo scopo. 


A 800 ml di panna, ho aggiunto 100 ml di karnemelk, sostituibili con 100 ml di yogurt oppure 50 ml di yogurt e 50 ml di latte intero. Ho versato la miscela in un barattolo di vetro, precedentemente sterilizzato, da 1,2 l di capacità. Ho chiuso il barattolo e l'ho agitato non troppo energicamente per circa un minuto. Poi l'ho avvolto in un panno scuro e l'ho posizionato vicino ad un termosifone. In alternativa si può mettere il barattolo in un luogo buio e tiepido: una temperatura intorno ai 24 gradi centigradi sarebbe l'ideale. A seconda della temperatura dell'ambiente e della qualità dei prodotti, 12 o 18 ore dovrebbero essere sufficienti. Se la fermentazione è iniziata correttamente, la panna si presenterà più densa e piacevolmente e delicatamente acida. A me ci sono volute circa 18 ore. Ho quindi trasferito il contenitore in frigorifero per un paio di ore e poi ho versato la panna fermentata nella ciotola della planetaria e ho iniziato a montarla con la frusta a filo. Dopo meno di due minuti la parte grassa ha cominciato a separarsi dal siero che ha una consistenza effettivamente molto più densa e cremosa del normale latticello. Ancora pochi secondi e il burro era formato. Ho versato tutto in un colino a maglie fitte, raccogliendo il cultured buttermilk in una ciotola. Ho rimesso la massa grassa nella ciotola della planetaria premendola bene contro i bordi con una spatola di legno per far uscire tutto il siero che ho poi unito a quello già raccolto. Ho versato abbondante acqua freddissima e ho continuato a schiacciare il burro con la spatola, premendolo bene contro i bordi della ciotola per eliminare quanto più siero possibile: questa operazione è molto importante, perchè permette una migliore conservazione del burro. Ho ripetuto il lavaggio altre due volte, fino a quando l'acqua è risultata trasparente. Ho trasferito il burro sul piano di lavoro, l'ho tamponato con un panno sterile e l'ho diviso in due panetti di 150 g l'uno che ho poi avvolto in carta da forno. Uno l'ho lasciato in frigorifero e lo userò nei prossimi giorni. L'altro l'ho riposto in freezer, dove si conserva fino a due mesi. Il buttermilk, circa 600 ml abbondanti, l'ho travasato in bottigliette pulitissime e messo in frigorifero. Va consumato entro una settimana, ma dubito che durerà tanto. 
Il burro non ha nessuna acidità, ma un delicatissimo sapore di formaggio che ricorda un po' il burro di malga. Il buttermilk così ottenuto ha una piacevolissima nota acida ed una cremosità incredibile, molto meglio di quella del prodotto confezionato che è realizzato con latte scremato.
Volendo si può utilizzare come innesto per far fermentare altra panna e dare così inizio ad un ciclo di produzione di cultured butter e cultured buttermilk praticamente senza fine. 

7 commenti:

  1. ...E poi mi chiedono come mai ti adoro!!!! Sei fantastica Roberta, e la tua insaziabile curiosità, unita alla ricerca per riprodurre gli ingredienti più particolari in casa, sono rari e preziosi.
    GRAZIE!!!

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    1. P.S.: ho visto che ti manca il banner di MTC Winner: prelevalo da qui! ;-)

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    2. Chi si somiglia si piglia Mapi!! Grazie della stima e dell'affetto che sempre mi dimostri e che so sinceri e ricambiati in pieno.
      P.s.: non sapevo del banner di MTC Winner. Lo prelevo subito e lo espongo con giusto orgoglio! Grazie! :)

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  2. Splendido post Roberta, utilissimo proprio l'altro giorno che stranamente avevo trovato il buttermilk mi ero chiesta come mai fosse così denso rispetto al siero creato dalla panna ed ecco il tuo meraviglioso approfondimento
    Naturalmente proverò a farmi il burro con panna fermentata come suggerisci tu
    grazie

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    1. Grazie dei complimenti Manu! Vedrai che differenza il buttermilk fatto in casa! Fammi sapere se lo fai, un abbraccio e a presto!

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    2. L'ho fatto ed è strepitoso, il mio ha riposato per 25 ore causa un imprevisto e come l'ho aperto era bellissimo e l'ho montato con una frusta normale e in meno di 4 minuti avevo il burro, mi sono accorta adesso che però ho dimenticato il passaggio in frigorifero. Il burro è veramente delizioso
      Grazie mille

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    3. Ma sono proprio felice, guarda! Tranquilla, credo che il passaggio in frigo serva solo a ridurre i tempi: la panna si monta prima se è ben fredda. Forse è anche una questione di coagulazione delle molecole di grasso, ma se il risultato ti ha soddisfatta, che ce ne importa della scienza? :)

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